Tutto va/fa un po’ male.
Ma cammino lungo il marciapiede e una vocina dentro me sussulta, esulta e sussurra: “guarda che bello questo tappeto di foglie arancioni, il sole, il gioco di luce tra le foglie!”.
Io vorrei sopprimerla, questa piccola Pollyanna.

Un anno fa ero in ospedale per un intervento, uno dei passaggi più faticosi degli ultimi due anni. 
Da sola, in stanza con una signora molto più grande di me che macinava chilometri avanti e indietro, storpiava il mio nome e mi diceva “devi sforzarti di camminare”. Io non mi reggevo nemmeno da seduta, mi girava la testa, sudavo freddo, la flebo era andata fuori posto, la mano si era gonfiata. Il personale del reparto, inutilmente scortese fin dal momento del ricovero, mi trattava come se fossi avessi le fisime (e io pensavo a quante donne non vengono credute quando dicono di star male, le loro rimostranze sminuite, quante diagnosi tardive, quanta sofferenza evitabile), mi “minacciavano”: “se non ti tiri su, ti spostiamo in un altro reparto”.
Non è stato quello a rimettermi in piedi – un reparto vale l’altro – , ma nessuno poteva venire a farmi visita, Tancredi mi mandava messaggi con scritto “ti voglio bene, tanto bene”, Caterina non voleva né vedermi né sentirmi: dovevo tornare a casa. Facevo dei passi, reggendomi al comodino, alla sedia, tra il letto e la finestra. 
La tenda aveva un piccolo taglio da cui entrava la luce. Ed eccola lì Pollyanna, che canticchiava Cohen.

Tra Marzo e Maggio 2020, mentre tutti erano costretti in casa, io facevo avanti e indietro dagli ospedali.
“Guarda che belli i riflessi sul Tevere!”, “Guarda com’è bella Trastevere con la luce di Primavera!”.

Dicembre 2019, vacanze di Natale: ero piuttosto inquieta, insofferente. Ero a Spoleto, rifugio d’elezione. Facevo delle passeggiate da sola, ascoltando audiolibri per non ascoltare i miei pensieri.
E però: “guarda che bella luna!”

Da quanto tempo è con me? Il ricordo più lontano che ho è di molti anni fa: ero piccola, nel salone di casa – che non si usava mai – c’era un grosso e pesante posacenere – che non si usava mai – di vetro verde. La luce lo attraversava e ne uscivano riflessi arcobaleno. Quella è stata la prima volta che Pollyanna mi ha detto: “guarda!”
La luce, sempre.

Vorrei metterla a tacere. 

Ma poi mi torna in mente del momento in cui mi sono persa, finita altrove. Luglio 2020.
Con le gambe penzoloni dalla prua della barca, guardavo l’accecante azzurro della Baia di Cornino.
Non mi diceva niente.
Quando finalmente ho potuto nuotare, quando finalmente ho ripreso le forze per fare il giro dell’Isola degli Asinelli, piangevo dentro la maschera (piuttosto scomodo: i vetri si appannano e si bagnano, l’aderenza al viso si perde, l’acqua entra, non si vede e non si respira più): guardavo i raggi del sole attraversare la superficie, rifrangersi sugli scogli sott’acqua, una miriade di pesciolini diversi.
Non mi diceva niente.
Se neanche Cornino, neanche l’Isola, neanche il mare, non c’è riparo.
Pollyanna taceva, era diventata niente anche lei.

Quest’estate siamo tornati in barca a Favignana, dove andavamo ogni estate finché vivevamo a Trapani, quando Favignana non era la calamita per turisti che è adesso e io giravo in bici, inconsapevole del privilegio.
A Cala Rotonda, dove mio padre teneva la barca quand’ero piccola, mi sono tuffata in acqua, ho puntato dritto verso lo scivolo e poi ho seguito la costa. Mi ricordavo di una piccola grotta, quasi nascosta, con una spiaggetta dentro e un’apertura in alto. Ho nuotato per un po’, senza trovarla. Ho pensato che forse me l’ero inventata: sembrava proprio una cosa che una bimba poteva immaginarsi, un rifugio tutto per sé. Poche bracciate ancora, ed eccola lì, una fessura attraverso la quale passo appena.
Pollyanna era lì: “guarda i sassolini di questa spiaggetta, tutti colorati! guarda quell’apertura lassù, è a forma di stella! guarda i pesciolini piccolissimi!”
Le ho promesso che avrei avuto più fiducia in lei: la grotta esiste, ed è più bella di quanto ricordassi.
Tornata a casa, ho ritrovato per caso il mio quaderno della seconda elementare. Nelle prima pagine, il tema sull’estate: “quest’estate sono stata a Favignana, a Cala Rotonda ho trovato una grotta…”

“Pollyanna cresce” è stato il primo libro che ho letto, il primo libro vero, tutto intero. Avevo 6 anni.