Luisa aveva una bella borsa, pratica, elegante ma non pretenziosa, semplice ma non anonima. Aveva anche le sue iniziali: una piccola scelta possibile. Lo so perché su quella borsa ho tentennato per mesi, alla fine ho rinunciato perché mi sembrava troppo seria per me.
È così che ci siamo incontrate l’ultima volta: sull’isola tiberina, nei percorsi paralleli obbligati dalla pandemia, io entravo e lei usciva. Ho notato prima la borsa, poi ho alzato lo sguardo e l’ho riconosciuta.
Ci siamo salutate festose, ci siamo aggiornate brevemente. Sapevo che era di nuovo alle prese con le terapie: me l’aveva detto con quella nota un po’ amara e un po’ rassicurante, fin troppo familiare.
Potevamo permetterci di “patire insieme” senza compatirci: un lusso. 
Luisa mi era stata vicina con discrezione: un altro lusso che riesce bene forse solo a chi è già stato dove sei tu.

Da quando ci siamo conosciute, ci siamo incontrate poche volte, ci siamo scritte più di quanto ricordassi. Uno di quei legami misteriosi e così misteriosamente frequenti nella mia vita: pochi incontri e molta intimità.

L’ultima volta che ci siamo scritte, ci siamo lasciate così:
“ma sì, io resisto… ci provo. Tu puoi capire, preghiamoCI”
“sì, preghiamoci”


Ti ho rubato questa, lo prendo come un passaggio di testimone.

Valessi la metà di te, Luisa.